GUIDA LOCALI INCONTRA CLAUDIO COCCOLUTO:
E’ il decano dei dj, pur continuando a essere giovane dentro e anche fuori, considerato il suo aspetto invidiabile. Claudio Coccoluto, classe di ferro 1962, rimane da decenni saldamente nella top five dei dj italiani, oltre che tra i più conosciuti, apprezzati e stimati a livello internazionale.
Il maestro dei maestri della consolle, e l’epiteto non è affatto esagerato, anzi. Perché Coccoluto continua a rappresentare un idolo per gli adulti ma anche per i giovani, e soprattutto perché continua a scrivere pagine importanti nella storia della musica dance, grazie alla sua esperienza, la sua competenza, il suo talento e il suo estro. Parliamo di un dj a tutto tondo, che non si limita certamente alle serate, ma che fa della ricerca, dello studio di nuovi suoni, della pratica la sua principale cifra stilistica. Per tutti questi motivi, è un vero maestro. Laziale di origini, impegnato sul lavoro ma anche politicamente (si è candidato alle elezioni del 2006), ‘Cocco’ è stato il primo dj europeo a suonare al ‘Sound Factory Bar’ di New York. Il suo club di riferimento è il ‘Goa’ di Roma. Ha raccontato se stesso e la sua carriera nel libro ‘Io, Dj’, pubblicato da Einaudi e, di recente, è comparso tra i protagonisti del docufilm ‘Vinilici. Perché il vinile ama la musica’, per la regia di Fulvio Iannucci.
Coccoluto, un dj mondiale ma con la Liguria sempre nel cuore…
“E’ vero, io sono molto affezionato alla Liguria. Non ho mai mancato una stagione, nelle varie località delle riviere, sin dagli anni Novanta. Il mondo della dance ha vissuto periodi d’oro anche nella vostra regione, grazie a posti come il ‘Covo di Nord Est’, solo per citarne uno. E’ una delle discoteche alle quali sono più legato in assoluto, anche se forse dovrei dire ‘era’. Perché la mareggiata dello scorso ottobre ha distrutto tutto. Vedere quelle immagini, compresa la consolle distrutta, mi ha rattristato moltissimo. Spero che il locale si possa risollevare”.
Ha qualche ricordo particolare della Liguria?
“Sì, feci qui una delle mie prime serate ‘rave’. Ma non quelle feste improvvisate. Era una cosa perfettamente organizzata sin nei minimi dettagli e con un pubblico bellissimo. Avevamo iniziato a suonare a mezzanotte e finito a mezzogiorno, con tutta una serie di dj a rotazione. Sono quelle cose che non ti riesci più a dimenticare, perché avevamo scombussolato mezza Liguria. C’era stato anche chi aveva polemizzato, ma alla fine non c’era stato nessun problema. Correva l’anno 1991. Era uno dei primi raduni di dj così ampi. Una serata praticamente ‘oceanica’. Bei tempi”.
Fa ancora queste feste?
“No, personalmente non ho più il gusto di fare queste cose. Abbiamo già dato. Ora quello che mi interessa, in particolare, è concentrarmi sulla qualità della proposta musicale. Mi piace andare a suonare in quei locali che fanno di questo obiettivo la loro priorità. Mettere musica per chi se ne intende, per chi la sa apprezzare. Negli ultimi anni si è molto allargato il divario tra discoteche e club. Le discoteche sono luoghi dove si balla e punto. I club sono realtà più ricercate, dove si può ascoltare musica ‘diversa’. Dove alla consolle puoi proporre, sperimentare. Sono locali più di nicchia, spesso più piccoli ma molto ben attrezzati dal punto di vista dell’impianto, della strumentazione, della diffusione sonora. Qui si riesce a fare dei veri e propri concerti”.
In quali locali è attualmente resident?
“In realtà, il concetto di resident dj si è un po’ annacquato. Se frequenti un locale per tre o quattro volte all’anno, ormai sei resident. Io sono con una certa costanza al ‘Goa’ di Roma e al ‘Supermarket’ di Torino, oltre che all’‘Ottowatt’ di Napoli. Diciamo che sono un po’ i tre punti cardine della stagione, che si svolge quasi completamente in autunno e inverno. In estate, invece, cambia quasi del tutto il tipo di lavoro. Si balla all’aperto e si studiano altre proposte”.
Ha sempre l’agenda piena?
“Piena piena no. Non come in altre stagioni della vita e della mia carriera. Non è che non arrivino richieste, anzi. Ma io scelgo molto di più. Mi voglio ritagliare più tempo per dedicarmi alle produzioni musicali, per selezionare e ricercare. Per studiare, in un certo senso. E poi, ritengo che la sovraesposizione sia diventata dannosa. Io sono in sella da più di venticinque anni, non sono certamente più una novità. Però se ci sono da un quarto di secolo, un motivo ci sarà. Ed è anche perché credo di aver saputo come muovermi e come comportarmi”.
Si considera una persona social?
“Il giusto. Ho una pagina Facebook e una Instagram, che uso quasi esclusivamente per ragioni professionali. Il profilo Twitter, invece, ospita anche mie riflessioni a carattere personale. Vado sui social con frequenza giornaliera ma senza strafare. Sono un buon strumento di comunicazione, se usato con intelligenza”.
Com’è cambiato il modo di fruire la discoteca?
“Quando io ho iniziato, si andava in discoteca per socializzare, per conoscersi. Ora si socializza attraverso lo schermo di uno smartphone. A me, sarà perché sono della ‘vecchia’ generazione, non è che sta cosa piaccia tanto. Ma la società cambia ogni giorno, quindi cerchiamo di non essere pessimisti. A me quello che interessa è fare buona musica, continuare a mantenermi nel solco della qualità. Lo scopo finale di tutto devono essere i contenuti che sai dare”.
Che rapporto ha con i vinili?
“Non li ho mai abbandonati. Penso che il giradischi sia lo strumento che più mi completa nel mio ruolo di dj. I primi che ho usato furono i Lenco, che non avevano un vero e proprio pitch ma una leva a molla, un escamotage decisamente dozzinale per regolare la velocità. I Technics 1200 per me arrivarono molto dopo e furono l’elemento definitivo. I Technics fecero davvero la rivoluzione: il 1200 sta al clubbing come la Stratocaster sta al rock”.
Con i dischi non ci si può ‘inventare dj’. La tecnica è fondamentale…
“Con i vinili bisogna avere uno spiccato senso del ritmo e devi seguire il flusso. Devi essere molto preciso nel mixare e, dal momento che la precisione assoluta è impossibile, ci saranno sempre delle micro-sbavature. È lì che si innesta il fascino della sfida: puoi sempre fare meglio. Non esiste la serata perfetta, esiste la serata perfettibile”.
Intervista by Alberto Bruzzone - Foto by Mauro Maglione.